giovedì 20 gennaio 2011

Memorie di una Geisha

Il libro giusto da leggere in Jap per passare il resto del viaggio a odiare il genere maschile dagli occhi a mandorla saettando in giro sguardi d’astio puro. E pensare che anche nel Jap di oggi si organizzano corsi da geisha e che – mai stupirsi di nulla – sono pure spontaneamente frequentati, senza che siano le famiglie a venderti al pappone di turno. Mah. Per la gioia del movimento femminista, é comunque arrivata giusto ieri la notizia che in Jap le donne hanno iniziato a guadagnare piú degli uomini (http://www.corriere.it/editoriali/11_gennaio_19/geisha-a-chi-le-donne-in-giappone-ora-guadagnano-piu-degli-uomini-federico-fubini_37c25038-23b4-11e0-a3c4-00144f02aabc.shtml); ci confermava inoltre un ragazzo italiano conosciuto in aereo che da 8 anni vive in Jap, che le donne solo apparentemente, nella societá odierna, sono ancora succubi del capo famiglia ma anzi, tengono proprio loro – e ben stretti – i cordoni della borsa. Sto ragazzo giurava che sono sempre di piú, infatti, i suddetti capi famiglia che implorano le ditte di versare la quattordicesima su un conto sconosciuto alle mogli in modo tale da non dover sborsare mensilmente la tangente alla signora. La rivincita del burka. O delle geishe.
La protagonista del romanzo, Sayuri, bambina bellissima e dotata di rari e inquietanti occhi grigi, viene venduta dal padre, vedovo e povero, insieme alla sorella maggiore che peró, essendo meno interessante, finisce in uno squallido bordello di Kyoto anziché essere candidata a diventare una potenziale geisha. Vediamo un pó le differenze fra “mignotta” e “geisha” a quanto mi é dato di capire leggendo il romanzo. “Geisha” significa “artista”, quindi la creatura deve innanzitutto eccellere, a suon di ritmi massacranti e in condizioni a dir poco disagevoli, nelle sublimi arti che faranno di lei la portavoce della raffinatezza e dell’eleganza estrema: musica, ballo, canto, ventaglini, ikebana, cerimonia de té, eccetera. Poi deve subirsi pettinature da urlo (in tutti i sensi perché i capelli vengono tirati in modo improponibile), vestizioni con strati su strati di kimono pesantissimi in bilico sui tipici sandaletti di legno, trucchi e vessazioni varie (incluso il fatto di dover dormire su un ciocco di legno che sostiene solo il collo in modo da non rovinare l’acconciatura), per poi partecipare a un tot di feste a sera in cui intrattiene i gentili ospiti con aneddoti brillanti o deliziose canzoncine, servendo il té o il saké sempre con infinita grazia e mani di fata. Quando poi sará finalmente ora di darla via per la prima volta – a un ricco, nella fattispecie – la geisha tua protettrice (detta “sorella maggiore”) e la tua padrona (che ti fa studiare anticipando soldi che poi dovrai restituirle negli anni a venire con il tuo “lavoro” da geisha) cominceranno una simpatica asta sulla tua pellaccia per chi offre di piú, e pazienza se, solita sfiga, il ricco fortunato é un bavoso vecchiardo. Da codesto mizuage in poi, o ti trovi un protettore che ti piglia come amante fissa e ti fa un sacco di regali permettendoti financo di “metterti in proprio”, oppure passerai la vita da una festa a un altra, sempre strimpellando chitarrine e versando saké ai ricchi ubriaconi. La mignotta invece fa invece solo una cosa ma per lo meno non si cuzza tutto la parte di apprendistato della geisha. Diciamo che entrambe le “professioni” vanno un pó a parare nello stesso posto.
Il romanzo comunque é un bellissimo affresco storico (l'autore ha raccolto testimonianze da una vera geisha doc!) e riesce a coinvolgere sia per la ricchezza e il dettaglio delle descrizioni, sia per gli straordinari personaggi che fa muovere sui sandaletti per l’acciottolato di Gion. Ora ho voglia di rivedere il film, che ricordo altrettanto bello.

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