mercoledì 19 maggio 2010

FIL

...ossia il concetto di felicità interna lorda.

Era da un bel po’ di tempo che non mi capitava di stupirmi … e ieri è successo … tutto merito di un trafiletto! Ho letto FIL e ho subito pensato ad un refuso al posto di PIL!
Ed invece FIL esiste sul serio ed è stato coniato da un re del Bhutan, nella metà degli anni ottanta, un re che ce la mise tutta per costruire “…un’economia coerente con la cultura tradizionale del suo paese basata sui valori spirituali del buddhismo”.
E gli indici x il calcolo del FIL a livello paese sono: 1) benessere psicologico 2) salute 3) istruzione 4) uso del tempo 5) diversità culturale 6) amministrazione 7) vitalità della vita democratica 8)diversità ecologica 9) tenore di vita.
Alcune caratteristiche particolari del Bhutan (700mila abitanti): “1) un solo canale TV dal 1999, 2) telefonia mobile arrivata nel 2003, 3) sport nazionale: tiro con l’arco, 4) per legge il 60% del paese deve restare coperto di foreste, 5) sanità e istruzione (inclusa università) sono gratuite, 6) la lotta alla corruzione è molto severa …“
Per i buthanesi “il miglioramento degli standard di vita deve comprendere il benessere interiore, i valori culturali e la protezione dell’ambiente, mentre lo sviluppo deve puntare ad aumentare la felicità delle persone,… la crescita spirituale perché soltanto da quella può nascere anche il benessere materiale” … insomma sembra roba di un altro pianeta!!!
Un paese di “democrazia obbligatoria” dicono alcuni con PIL basso, ma FIL alto … i buthanesi sembrano davvero avanti anche se il FIL va peggio del PIL quando si parla di integrazione e rispetto delle diversità culturali! Nessuno è perfetto …x cui chissà l’acronimo vincente non sarà né PIL né FIL, ma qualcos’altro che sta nel mezzo e a cui nessuno ha ancora pensato ma forse un briciolo di “thinking" o meglio "feeling like” un buthanese potrebbe far bene anche a noi!!!!

venerdì 7 maggio 2010

Un gioco da bambini

“In una societá totalmente sana, l’unica libertá è la follia”

In un romanzo che nel 1988 forse poteva ancora suonare visionario ed eccessivo, il clustrofobico Jim Ballard racconta tramite la voce di uno psichiatra, l’eccidio di 32 persone – tutti adulti – in un quartiere residenziale molto “in” ed esclusivo appena fuori Londra. I 13 figli delle varie coppie che abitavano le lussuosissime ville con piscina di Pangbourne, svaniti nel nulla, probabilmente rapiti dagli assassini dei genitori.
Scommetto che se oggi vado di là nell’altro ufficio e apro City alle pagine della cronacaccia trash troverò qualcosa di molto simile. Povero Jim...e tu pensavi di scrivere un romanzo, magari, di “fantascienza”...una storia di lucida follia esasperata, di scandalo sociale impensabile e inaccettabile...e adesso invece ci basta aprire un qualsivoglia giornalaccio free press per trovare altrettanta – e forse maggiore – alienazione.
L’atmosfera che impregna le pagine è tipica ballardiana, molto “condominium”, molto “isola di cemento” (quasi ricorda la Cecità di Saramago in certi punti); claustrofobia, impossibilità di fuga se non con la forza delle disperazione, progressivo abbruttimento dell’essere umano che una volta murato vivo e circondato da vincoli eccessivi, anche se mascherati da apparente benessere, si dibatte con violenza per uscirne e respirare di nuovo. Inquietantissima la bimba più piccola del gruppo, Marion, di 8 anni, traumatizzata dallo shock che ripete all’infinito gli ultimi gesti e gli ultimi suoni sentiti prima di impazzire. Vien proprio voglia di mettere al mondo un figlio...

mercoledì 5 maggio 2010

Un tranquillo paese di Romagna

Uno dei rari casi in cui il secondo libro e' decisamente migliore del primo. In "Circostanze casuali" gia' recensito in questo blog il 9 aprile scorso, l'autore si perfeziona, raffinando la tecnica - godibilissima, a parer mio - di muovere i personaggi come pedine attraverso le pagine raccontandone il passato per far capire il motivo della loro presenza in un punto ben preciso del romanzo. In questo, invece, la cosa e' solo accennata all'inizio, giusto per presentare i protagonisti che ritorneranno anche nel secondo libro, Primo, Macbetto (sto nome e' incredibile!), Proverbio, Pavolone, Maria e le gemelle. Vero e' che nelle "Circostanze" la casualita' e' la reale protagonista della vicenda e quindi l'intrico dei personaggi aveva piu' ragion d'essere che non qui...pero' dava un tocco particolare che in questo "Paese di Romagna" spiace non trovare. In ogni caso non mi e' piaciuta per niente la trama, di base...l'argomento pedofilia, per quanto tristemente attuale (e si parla anche di pedofilia nella Chiesa, guarda un po'!), e' disturbante e offensivo soprattutto quando si scopre che gli omicidi sono compiuti con crudelta' gratuita per semplice vendetta. Mi domando certe volte come faccia uno scrittore a non affezionarsi ai personaggi che crea dal nulla con le sue mani e a farli ucciderli brutalmente senza motivo apparente, per giunta. Sta bimba bellissima, Ofelia...la fa trovare cadavere sepolta sotto un albero, uccisa solo perche' si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato...ma dai!!! Io non l'avrei mai uccisa, Ofelia...l'avrei fatta andar via da quel buco di paese, studiare a Bologna, laurearsi, sposarsi con una brava persona, mettere al mondo un paio di bambini belli come lei, altroche'...con un nome cosi' era destinata a grandi cose, dannazione.
Restano comunque la scrittura vivace del Flamigni, la bella caratterizzazione dei protagonisti, gli spettacolari detti romagnoli che Proverbio - non a caso chiamato cosi - centellina ai compagni di maraffone. Non resistero' e comprero' l'eventuale terzo romanzo.

martedì 4 maggio 2010

Departures

Si piange perchè a tutti noi è capitato di perdere qualcuno di caro. Si piange perchè a tutti noi è capitato di sentirsi crollare il mondo addosso dalla solitudine e dal senso di abbandono. Si piange perchè tutti noi speriamo che i nostri cari ci ricordino e ci proteggano e soprattutto che finalmente possano stare bene mentre ci aspettano. Si piange perchè si somatizza il lutto delle famiglie rappresentate. E poi si piange perchè i gesti amorevoli, delicati e pazienti con cui il protagonista (Masahiro Motoki, bravissimo) avvolge il defunto nel kimono rituale, lo lava, lo sbarba, lo trucca conferendogli il colorito che aveva in vita, gli stringe le mani in preghiera, fanno piangere da bestia, ecco.
Ma poi si ride! Si ride quando lui crede di trovarsi in un’agenzia turistica, “...per accompagnare le persone nei viaggi”, dice l’annuncio di lavoro, si ride quando posa come modello – fa il morto – per un video commerciale sulle tecniche di preparazione dei defunti, “...a volte bisogna chiudere l’ano del cadavere con un batuffolo di cotone per evitare la fuoriuscita di liquidi corporei”, la sua faccia che dovrebbe essere impassibile è in realtá uno spettacolo di emozioni tutte ugualmente disgustate, si ride quando deve affrontare il suo primo incarico che ha la sfortuna di essere una vecchina trovata morta dopo 2 settimane, si ride quando la salma di una donna si scopre possedere "il coso", si ride alla follia fra le lacrime sul finale e sulla teoria dei “sassi parlanti”.
E poi si amano i giapponesi, inkazzatissimi per 5 (CINQUE) minuti di ritardo, i loro inchini continui e profondi, i loro bagni termali, i coglioni di pesce palla grigliati al sale (testuale!), il pollo yakitori, i cartocci di dolci avvolti nel giornale, le collezioni di bambole, i vestitini da manga, il letto sul pavimento, le stuoie, le porte scorrevoli in carta di riso, il violoncello suonato con il Fuji sullo sfondo, i cigni selvatici, i petali di pesco che volano nel vento, l’Inno alla Gioia con cui si apre il film.
La musica è, inutile dirlo, pura poesia.

http://www.youtube.com/watch?v=72UHlQ4TyHA

domenica 2 maggio 2010

L'uomo sul tetto

Quello che mi turba dei romanzi della premiata ditta Sjowall & Wahloo (con la dieresi sulla o) sono i nomi svedesi che non riesco mai ad associare ai personaggi da un libro a un altro. A parte Martin Beck - dal nome vagamente americaneggiante - fra Ronn (con la dieresi sulla o), Kollberg, Larsson, Kvant e soci, non ricordo mai chi ha fatto cosa nel romanzo precedente e le caratteristiche di ognuno di loro. Se non sbaglio Larsson è quello col caratteraccio.
Comunque: questo ennesimo poliziesco secondo me è uno dei meno riusciti, molto lento e con uno sviluppo un pò scontato...molto prima della metà si capisce già il colpevole nonchè il movente che lo spinge a infilzare con una baionetta il tipo di pagina 3. La difficoltà con i nomi svedesi ritorna anche nell'unica scena d'azione del libro, il finale con l'uomo appostato sul tetto, appunto, che spara su strade e piazze dai nomi impronunciabili e labirintici per chi non abbia la mappa di Stoccolma stamapata in testa.
Decisamente più d'effetto "Omicidio al Savoy", "Roseanna" o, ancora meglio il mio preferito, "Il poliziotto che ride", davvero tortuoso.
E' vero ciò che si dice in seconda di copertina, e cioè che questi polizieschi aventi Beck come protagonista siano romanzi di formazione notevoli; da un libro all'altro sia lui sia il suo entourage vivono di vita propria...ma in questo, in particolare, la troppa lentezza dello sviluppo fa distrarre un pò troppo l'attenzione dalle sfaccettature dei vari caratteri dei personaggi.
Pazienza, sarà per il prossimo.