domenica 14 agosto 2011

Momentaneamente...

...sospeso per..."lavori in corso"! :-)

L'alien atterra il 30 agosto!!!!

domenica 27 marzo 2011

L'ultima notte bianca

Libello discreto, senza infamia e senza lode, del torinesissimo Perissinotto, che ho acquistato essenzialmente perchè amo ritrovarmi nei luoghi descritti dal romanzo (fantastica la descrizione del centro commerciale di Borgo Dora, a due passi da casa mia!). Però ammetto di averlo preso anche per decidere una volta per tutte se questo autore mi piacesse o meno: intrigante "Treno 8017", da tagliarsi le vene "La canzone di Colombano" (http://kifreewheel.blogspot.com/2010/03/la-canzone-di-colombano.html); 2 su 3 per il "non male", quindi se capiterà l'occasione, ne prenderò volentieri un quarto. Lungi dall'essere un altro romanzo a carattere storico, questo poliziesco ambientato nella Torino in festa per le Olimpiadi invernali del 2006, ha per protagonista una psicologa sulla quarantina che si dedica a ritrovare persone scomparse; fragile, insicura (fossi su Feisbuc voterei "mi piace!") e con una sofferta separazione alle spalle, Anna Pavesi riesce però a tirar fuori al momento giusto la lucidità sufficiente a farle capire se chi ha di fronte stia mentendo o meno (un pò un Lie to Me alla torinese), cosa che, unita a una buona dose di intuizione e a un briciolo di sventatezza - io, in piena notte, da sola, nelle baracche dei Murazzi zona corso Belgio non andrei tanto volentieri - le permette di mettere a posto tutte le tessere del puzzle, in questo caso la sparizione di un'educatrice impegnata nel tentativo di aiutare un gruppo di drogati. Cruda ma direi purtroppo molto realistica la descrizione del mondo miserando di chi vive per strada, dalla prostituta diciannovenne che batte per guadagnarsi la dose, a chi mendica come scelta di vita, a chi si fa di qualunque sostanza possibile senza poter/voler uscire dal giro. E credo anche decisamente concreto il senso di frustrazione in cui potrebbe incorrere chi ha scelto di dedicare la propria vita a tirare salvagenti al prossimo senza però riuscire a salvare mai nessuno dal vortice. A livello personale, oltre alla coloratissima descrizione di una Torino ammantata di luci e invasa da una folla delirante mai vista prima, ho apprezzato la veridicità di questo passo in particolare, nonostante ormai per me tutte le porte del passato si siano finalmente chiuse ermeticamente senza lasciare spifferi di sorta...un passo che si potrebbe riassumere in "i ricordi uccidono": "[...] Temevo che l'angoscia mi avrebbe assalita, che ad ogni angolo avrei ricordato un momento felice [...], temevo che, come al solito, le frustrazioni, le amarezze, le umiliazioni sarebbero state cancellate dalla memoria per via della maledizione in cui incorre chi riesce a separarsi senza odio, chi commette l'errore di "restare amici" [...]".

venerdì 25 marzo 2011

Northern Lights


...e prima o poi bisognerá andare anche qui ma nel periodo giusto (Tromsø di per sé é un paesone insignificante)!!!


Il tipo che ha realizzato 'sto video...un grande!

mercoledì 23 marzo 2011

Aladin - il Musical

Alla facciazza di Flashdance (o forse più alla mia, visto che pago caro&salato per vedere menate!), QUESTI sono stati 38 euri ben spesi. Il musical di Aladino, con le canzoni - coinvolgenti e interpretate da bellissime voci - dei Pooh, ha intrattenuto per 3 ore buone noi 4 "adulti" e la cuginetta di 5 anni di Metà che era il nostro alibi per andare a vedere lo spettacolo (ci siamo azzuffati per decidere chi di noi dovesse accompagnarla e alla fine siamo andati tutti e 4, genitori, cugino e cugina acquisita).
Immaginavo che le scenografie sarebbero state grandiose - come, in effetti... - ma i balletti e la comicità brillante sono stati assolutamente oltre le aspettative. Alcuni passi/capriole/salti erano quasi acrobatici e perfettamente sincronizzati su coreografie non banali, il balletto di tip-tap in particolare, da manuale, e alcuni personaggi - primo fra tutti il Genio - erano da sbellicarsi ("Voglio diventare un principe!", "Sì, ma non andare a San Remo, per favore..."), anche se forse molte battute venivano apprezzate più dal pubblico "adulto" che non dai gagni...i quali comunque non potevano non restare sbalorditi di fronte agli effetti di luci laser, coriandoli sparati in aria, personaggi in sala in mezzo al pubblico, il tappeto volante che volava davvero...ma scherziamo?

Per dare un'idea delle scenografie:
http://www.youtube.com/watch?v=FBupwHKweus

e un assaggio di qualche canzone:
http://www.youtube.com/watch?v=PQGkbJtyuIo

Gran Circo Taddei...

...e altre storie di Vigata.

Proprio non capisco il motivo per cui non riesca a far AMARE Camilleri ai miei, che hanno snobbato anche questa raccolta di 8 spassosissimi - a parer mio - racconti generalizzandoli in un triste "ma sono tutti uguali".
Beh, sì, lo stile è il classico Camilleri doc, siculo stretto, azzuffatine, ammazzatine, corna, lupara, parrini e mafiosi locali, ma l'atmosfera della Vigata Anni '40 con tanto di ottusi camerati fascisti al seguito, a me fa sempre sbellicare.
E non si può obiettivamente dire che i personaggi siano tutti uguali!!!! Si va dalla finta maga che fa vincere per puro caso un terno secco e diventa acclamatissima, all'odiosa segretaria della sezione fascista femminile che viene raggirata dalle compagne, al comunista convinto che si converte al cattolicesimo dopo una visione, allo scapolo d'oro che si scopre avere una sua propria "missione" a Vigata, al nipote donnaiolo che vuole eliminare la vecchia zia per ereditare...attorno a loro ruota un mondo di personaggi-macchietta (anche se, forse, solo all'apparenza, bisognerebbe essere siculi 100% per capirlo davvero!), che contribuiscono a rendere umoristica e sempre sottilmente ironica ogni situazione raccontata. Per fare un esempio, la diatriba che si scatena fra il Potestà camerata di Vigata e quello di Sicudiana per togliere la "s" al "Taddeis" del Gran Circo in base all'ordinanza del Duce secondo la quale non si potevano usare nomi stranieri...divertentissima. Un fatto così assurdamente...patetico, oserei dire, viene preso e ribaltato in chiave comica proprio per sottolineare lo squallore di certi dettami fascisti. Io lo trovo geniale.
Strepitosa anche la postfazione, degna conslusione di questa raccolta: "Molto probabilmente in questi racconti i miei lettori troveranno casi di omonimia. Ecco appunto, si tratta di omonimie [...] Ci tengo a sottolinearlo e ci tiene ancor di più il mio avvocato."

martedì 22 marzo 2011

Una donna di troppo

Questo romanzo di Ballario, leggermente meno irritante e ingenuotto del precedente (http://kifreewheel.blogspot.com/2011/03/morire-e-un-attimo.html), non credo che comunque si possa definire "avvincente".
Al solito accurata e interessante l'ambientazione storica della Somalia in piena espansione fascista, banalizzata però da personaggi che ho trovato privi di mordente e di fascino, protagonista incluso. Il maggiore Morosini che, per carità, ostenterà anche doti investigative notevoli abbinate a umane insicurezze (e sono caratteristiche che amo trovare in un personaggio...quanto detesto i supereroi senza macchia e senza paura alla Clive Cussler, per fare un esempio!), secondo me è un pò - come dire - buttato sulla carta, quasi solo a dare un "volto" al capo dell'indagine, ma non possiede uno spessore tale da renderlo carismatico e accattivante a sufficienza...e idem dicasi per i suoi collaboratori più stretti, il fastidioso parinotto Barbagallo e il poliziotto eritreo Tesfaghì che parla come Mami di Via Col Vento. Il paragone con Montalbano, Augello e Fazio è impietoso.
Il libro, incentrato su una serie di delitti avvenuti a Mogadiscio e solo apparentemente non collegati fra loro, si lascia comunque leggere senza lasciare, stavolta, eccessivi strascichi di bigotto perbenismo borghese. Il Volo della Cicala resta imbattuto.

"Se tutto va male...

...divento famoso" è la nuova, esilarante commedia presentata al Gioiello da Gabriele Pignotta & Friends, che già avevo avuto modo di apprezzare ridendo sguaiatamente con "Ti sposo ma non troppo" alcuni mesi fa.
I 4 protagonisti vengono licenziati in tronco da una multinazionale che sta operando numerosi tagli al personale e, spronati dall'entusiasmo di uno di loro che vede questa cosa come l'opportunità mai colta in gioventù di diventare un chitarrista e non un frustratissimo impiegato, mettono su una band con la quale partecipare al talent show del momento.
Il finale a sorpresa è, se vogliamo, un pò retorico ma ci sta anche il messaggio buonista - perchè no? - che inneggia a vivere la vita prendendosi un pò meno sul serio e cercando di apprezzare al meglio quanto di buono siamo riusciti a crearci attorno.
Bravissimi tutti e 4 gli attori su cui spicca senza dubbio il cranio pelato di Fabio Avaro, romano de Roma doc, che fa ridere in primis per la parlata dialettale, unita alla comicissima figura rassegnato/fatalista del suo personaggio.
Un paio d'ore di divertimento assicurato.

Rossoamaro

Secondo romanzo di Bruno Morchio su cui ho messo le mani e che ho avuto di nuovo il piacere di apprezzare parecchio, sia per la scrittura spigliata, sia, soprattutto, per il cervellotico intrigo di base. Il romanzo, che comincia dov'era terminato il precedente (http://kifreewheel.blogspot.com/2011/02/le-cose-che-non-ti-ho-detto.html), alterna capitoli che si dipanano nel presente - fin troppo attuale - narrando la nuova indagine di Bacci Pagano, ad altri che si svolgono invece nella Sestri del 1944, quando il paese era in mano al regime nazifascista, terrorizzata dai repentini bombardamenti angloamericani e oppressa da un'atmosfera di reciproco sospetto. I partigiani colpivano i tedeschi e giustiziavano le loro spie italiane talvolta anche a sproposito, tale era la paura di essere denunciati, catturati e di sparire per sempre in un treno diretto verso i lager.
Gli episodi raccontati nel romanzo sono realmente accaduti, spiega il Morchio nella postfazione (ad esempio l'attentato al cinema Odeon, 15 maggio 1944, e la rappresaglia tedesca che ne seguì, 59 persone trucidate senza processo, i famosi "martiri del Turchino"), così come molti dei partigiani citati hanno combattuto davvero il regime in quel periodo; l'invenzione, intrigante e coinvolgente, riguarda invece la protagonista, Tilde, diciannovenne staffetta dei partigiani che sacrifica la propria giovinezza e quell'avanzo di spensieratezza adolescenziale ormai compromesso dalla guerra, per diventare l'amante di un ufficiale tedesco a cui carpire informazioni vitali per la Resistenza. La sua storia e l'indagine di Pagano si intrecciano alla fine del romanzo in un colpo di scena che mi ha lasciata davvero stupefatta. Bello, non me lo aspettavo!

venerdì 11 marzo 2011

Flashdance

La cosa che mi ha colpita di piú di questo spettacolo é stata sicuramente la testa riccia di quella di fronte, che avrei voluto – con tutto il rispetto – pigliare a potenti ceffoni a ritmo delle sue ondulazioni. Mia cugina (che comunque é 1.80, non un tappo come me) avrebbe fatto altrettanto con il figlio di costei, un nerd altissimo e totalmente disinteressato allo show nonostante l’abbondanza di tette&culi, che che si grattava continuamente un orecchio proprio in traiettoria palco. Detto questo.
Forse la storia di questo classico del 1983 (oddio, com’ero giovane!) non era adatta a una trasposizione in musical, perché ho avuto la netta impressione che alcuni balletti e canzoni fossero stati inseriti un pó a sproposito, piú per riempire due ore di spettacolo che non ai fini della narrazione in sé. Un esempio per tutti, la sovrabbondante ripetizione dei litigi madre-figlia per affrontare l’audizione nella prestigiosa accademia di ballo di Pittsburgh...detto una volta “affronta le tue paure e realizza i tuoi sogni”...dette tutte, no? Invece questo tema, sia parlato che cantato a oltranza (la parola “sogno” é stata ripetuta piú volte qui che non nello studio del dott. Freud durante tutta la sua onorata carriera), é stato portato avanti a parer mio un pó alla nausea. Va bene il mito americazzo della “seconda chance”, va bene che la trama si incentrava principalmente su questo argomento, peró non a discapito di una recitazione tutto sommato poco emozionante e a musiche molto sottotono rispetto alle originali (si salvavano solo “Maniac”, “Gloria” e ovviamente “What a feeling”) e poco coinvolgenti a livello di ritmo.
Devo ammettere che neanche la scena finale é riuscita a emozionarmi come speravo, forse giá oltremodo annoiata dalla parte precedente, nonostante mi renda perfettamente conto che una delle fonti principali di delusione siano le canzoni tradotte in italiano che perdono parecchio del loro fascino.
Ah, il tutto per QUARANTAQUATTRO euro (scontato, se no sarebbe costato 54!!!!); prezzi ASSURDI dell’Alfieri, pazzesco.
Lato assolutamente positivo dello spettacolo: le voci dei protagonisti, eccezionali, le migliori mai ascoltate in un musical (http://www.torinospettacoli.com/alfieri.pdf).

ZAALUK (Antipasto di Melanzane)

...da Tizzi con furore :)

Ingredienti:
melanzane
pomodori
passato di pomodori
cumino in polevere
aglio

sale
olio di semi
prezzemolo tritato
paprica piccante (a piacere)

Preparazione:
Tagliare le melanzane a dadini e friggerle in olio abbondante. Far scottare leggermente i pomodori, spellarli e tagliarli a dadini. Farli cuocere in un tegame, aggiungere la passata di pomodoro, l'aglio, il cumino, sale e pepe.
Lasciar cuocere a fiamma moderata e, verso la fine della cottura, aggiungere le melanzane ed il prezzemolo tritato. Servire ben caldo accompagnato da alcune bruschette.

Questo è un piatto che è possibile mangiare anche freddo, sostituendo il pane con delle foglie di insalata e aggiungendo del succo di limone.

giovedì 10 marzo 2011

Morire é un attimo

“Ingenuo” é l’aggettivo che secondo me piú si adatta a questo romanzo di Giorgio Ballario che ho comprato sulla scia dell’entusiasmo per “Il Volo della Cicala” (e ovviamente per non farmi mancare nulla, ho anche giá preso il successivo! Speriamo sia migliore...). Mi ha ricordato moltissimo i romanzi della Baltaro buonanima che avevo letto in serie prima di stufarmi per l’eccessivo perbenismo borghese che li permeava. Va bene che non tutti i polizieschi devono essere necessariamente splatter e violenti, peró neanche sempre arredati come il salotto buono di una madamina torinese. Vero anche che nell’epoca storica raffigurata – gli esordi del fascismo e la prossimitá della seconda Guerra Mondiale – i rapporti interpersonali, i dialoghi, le discussioni erano sicuramente piú formali che non ora, ma leggendo questi romanzi ho avuto l’impressione che qualcosa di dolciastro e appiccicaticcio mi colasse addosso, cosa che invece non mi era assolutamente capitata con De Angelis, ad esempio, che tratta piú o meno lo stesso periodo e per di piú vivendoci.
Mi rendo conto che la sensazione di fastidio maggiore sia derivata dall’uso smodato di frasi in torinese, dialetto che detesto, ma anche i personaggi trovo siano stati tagliati con l’accetta, le (rare) scene d’azione poco coinvolgenti, i paesaggi africani descritti quasi monotoni. Una buona idea é invece stata l’ambientare il tutto in Eritrea e rifilare qua e lá al lettore qualche notizia storica mascherata nella narrazione.
Forse piú ancora del dialetto turineis, comunque, odio profondamente il font 16 dell’Editrice Angolo Manzoni!
[Ref. post http://kifreewheel.blogspot.com/2010/12/il-volo-della-cicala.html]

lunedì 7 marzo 2011

La Vita Facile

Piú ci penso e piú il finale di questa commedia dai risvolti fin troppo attuali non mi ha dato la giusta soddisfazione. Paoletta (il lato pragmatico/realista della coppia cinefila) dice che La Vita Facile, alla fin fine, la sognano pure quelli di Emergency; io (il lato utopico/idealista della coppia cinefila) dico che la segreta speranza che esista ancora qualcuno al mondo in grado di resistere al fascino indiscusso delle mazzette da 500, é l’ultima a morire. Come si dice, ai posteri l’ardua sentenza.
E’ uno di quei rari casi in cui avrei bramato il finale holliwoodiano di rito con tutti felici&contenti&amici come prima tranne i cattivi arraffoni. O forse...ripensandoci una volta in piú, i cattivi arraffoni sono stati davvero puniti - perché non si puó certo annoverare il personaggio di Favino fra i buoni altruisti - e quindi il finale era davvero l’unico possibile perché lascia aperte le porte a una possibile espiazione/redenzione d’obbligo? Allora mettiamola cosí: non mi é piaciuta la fine che ha fatto Accorsi, ecco, appunto perché voglio ancora credere che la Medicina Senza Frontiere (se nasco un’altra volta peró faccio il medico in Kenya, sia ben chiaro!) paghi.
Detto questo, il film vanta un buon affiatamento fra gli attori, una bellissima fotografia di paesaggi africani (mi scappa il sigh...), dialoghi brillanti e numerose battute in romanaccio davvero spiritose (fantastico l'uso smodato dell'Amuchina gel anche contro la lebbra, mi ha ricordato me e la Fede in Madagascar!), musiche azzeccate e una valida idea di raccontare il passato italiano con pochi ma vividissimi flash back.
Il sottotitolo “Lui ama lei, lei ama lui...”, potrebbe far pensare a una commedia puramente sentimentale; invece il tema amoroso – che é comunque una delle molle che scatena la maggior parte delle grane nel film – non é peró tutto sommato cosí pesante da indurre a melensaggini mucciniane.
So che Paoletta commenterá “Accorsi BONO!”, quindi la anticipo: sí l’Accorsi ha un sorriso solare bellissimo e come la maggior parte degli uomini, arrivando ai 40 e irrughendosi attorno agli occhi, accentua anziché deprimere il suo fascino maxibon.

venerdì 4 marzo 2011

Enigma in Luogo di Mare

[Ref. Post “A che Punto é la Donna Informata dei Fatti”, http://kifreewheel.blogspot.com/2011/02/che-punto-e-la-donna-informata-sui.html]

Ecco, questo romanzo qui, lungi dall’essere “brutto” é peró meno intrigante dei precedenti di F&L che ho letto recentemente. Piuttosto lento nell’ingranare, ha infatti una lunghissima presentazione dei personaggi – e sono effettivamente molto numerosi – che abitano l’esclusivo borgo residenziale nella pineta della Gualdana, in Toscana. Particolarmente sotto tono, secondo me, sono state le parti di minuziosissime descrizioni dei tarocchi che interpreta una di loro, una vecchietta ospite nella villa dell'amica svizzera per Natale.
La notte della vigilia, in cui soffia una violenta libecciata, il conte Delaude, furtivamente introdottosi con l'amante nella villa usata essenzialmente come residenza estiva, viene trovato assassinato sulla spiaggia contemporaneamente alla misteriosa sparizione di una donna che avrebbe dovuto partire per Milano ma che lí non é mai arrivata, e del marito, inghiottito dalla pineta durante la notte.
Il tono del romanzo é come sempre piacevolmente leggero e ironico e lo scioglimento dell’inghippo (e vai, stavolta avevo indovinato QUASI tutto!), svelato dal commissario Aurelio Butti e da un altro inquilino della Gualdana, il depressissimo pessimista cronico Gabriele Monforti, ha tutto sommato una spiegazione piú semplice e razionale di quanto potesse sembrare all’inizio delle indagini...
...ma resta indiscussa la netta superioritá overall di “A che Punto é la Notte”.

lunedì 28 febbraio 2011

Kirkuk Kaffe

Da tempo puntavo questo ristorante curdo/greco di via Carlo Alberto 16 (http://www.kirkukkaffe.com/) che giá dall’esterno, le volte in cui mi ero fermata a sbirciare, mi aveva ispirato fascino mediorientale e aria da tendopoli maghrebina. L’interno infatti non delude, ricchissimo di suggestioni arabeggianti su pavimenti e pareti, ma, secondo me, é anche quanto di meglio offre il locale. Le recensioni entusiastiche che si leggono su internet, addirittura “il miglior kebab della cittá”, mi lasciano, tutto sommato, un pó esterrefatta. Non si mangia assolutamente male, intendiamoci, ma trovo sia un posto che va decisamente bene soprattutto per vegetariani e salutisti che vanno pazzi per farro/orzo/riso possibilmente sconditi.
Vero é che nel Kurdistan non si va avanti a pasta al forno lardellata fritta, peró dall’ “antipasto misto” uno si aspetterebbe un piatto un pó piú abbondante rispetto a una cazzuolata di hummus, un paio di falafel e un DADO minuscolo di feta...o no? (ho anche sbirciato la “crema di melanzane” arrivata al tavolo a fianco e soprattutto la faccia eloquente della ragazza che l’ha ricevuta!). Il mio “yogurt kebab” era invece di dimensioni accettabili e cosí il kebab arrotolato di CMB, peró non lo definirei certo il migliore mai mangiato...perché resto assolutamente settatta su quello di via Fratelli Calandra 6 (che mi sembra si chiami Belle Epoque); le altre amiche commensali hanno invece parecchio gradito il loro riso bianco con uvetta e sugo a parte (rosso con pezzettoni di patate). Non erano male i biscotti tipici, se piace lo stradolce mieloso mandorlato e/o coccato, e neanche la mappazza allo yogurt che ho preso io nonostante non sia riuscita a finirla data la corpositá pannosa. Secca un pó che su un elenco gia di per sé non troppo ricco sia di dolci che di té, di sabato sera per di piú, vengano fuori i classici “stasera non l’abbiamo”...ma pazienza. Il té alla menta di ripiego che ho preso mi é comunque piaciuto (anche se, a rischio di sembrare troppo puntigliosa, preferisco quello dell’Hafa Café di via S.Agostino 23). I prezzi sono comunque ragionevolissimi perché per un antipasto, un piatto unico, un dolce e un té e l’acqua abbiamo speso 14 euro a testa.Per riassumere, questo é un locale che definirei “senza infamia e senza lode”, che val sicuramente la pena provare una volta non foss’altro per l’atmosfera evocativa e la gentilezza del personale...e poi tornarci, cosí, tanto per...se si va al cinema da quelle parti!

domenica 27 febbraio 2011

Unknown

Ecco il bello di andare a vedere un film totalmente e irrimediabilmente prevenuti: che si può restare piacevolmente sorpresi. E' il caso di Unknown - Senza Identità, con Liam Neeson - che già di suo non rientra nel novero dei miei attori preferiti causa la scarsissima espressività facciale - ma che è riuscito a dar vita a un personaggio tutto sommato non troppo scontato e prevedibile nei panni di un botanico americano, a Berlino per partecipare a un convegno di biotecnologia, che resta coinvolto in un incidente d'auto e perde parzialmente la memoria. In due ore di film cercherà di mettere insieme i pezzi dei suoi flash e di capire perchè diavolo la moglie non lo riconosca più, nonchè si accompagni a un tizio che si spaccia per lui.
Il film ha molti echi di Frantic, di Ronin e delle classiche americazzate con inseguimenti on-the-road a cui il regista non riesce a rinunciare (battuta clou micidiale "Non ho dimenticato come ucciderti, stronzo!"...ma perchè, perchè???), però il colpo di scena finale c'è e lascia abbastanza spiazzato chi, come me, non aveva capito una mazza (CMB, che invece aveva intuito, assegna un 5 1/2 al film e sfoga la sua delusione sul successivo doppio kebab!).
Brava e sempre bellissima la taxista clandestina Diane Krueger e il grande Bruno Ganz nei panni di un investigatore privato ex-poliziotto della Stasi; odio psicosomatico estremo invece per Frank Langella che mi ha riportato alla mente il ruolo fastidioso a dir poco interpretato nel pacchianissimo The Box, una delle più grosse tavanate viste negli ultimi mesi.
E poi la MIA splendida Berlino d'inverno, che dire...

venerdì 25 febbraio 2011

Immaturi

Il mio incubo ricorrente – e non serve uno strizza per interpretarlo – é che mi chiamino dalla segreteria dell’universitá dicendomi che la mia laurea non é valida perché uno degli esami (di mate, nella fattispecie) é da rifare per un qualche disguido burocratico. Solitamente mi sveglio urlando, in un bagno di sudore&lacrime. Mai e poi mai vorrei rivivere l’ansia patologica di quegli anni e mai e poi mai avrei, adesso, la forza di volontá necessaria a concentrarmi per studiare quelle schifezze di materie che giá in epoca di neuroni “freschi” odiavo. Puah.
Nel film non é la laurea ma il diploma di maturitá, quello da riprendere dopo 20 anni di assenza dai banchi scolastici, ma il titolo gioca ovviamente sull’immaturitá dei protagonisti, tutti sulla 40ina ma ancora profondamente fragili e insicuri (mi immedesimo): chi non vuole diventare padre, chi non riesce ad affrontare una relazione stabile, chi vive ancora con i genitori dormendo nel letto a castello di quando era piccolo.
Quest’ultimo é stato il mio preferito, un comicissimo Ricky Memphis con mammina al seguito e padre romanaccio invece arcistufo della sua presenza in casa. Peró, peró...mica male anche gli altri attori (che poi son praticamente sempre gli stessi utilizzati per questi film sui 40enni in crisi; strano che non ci fosse Accorsi!), che sono riusciti a rendere bene e senza troppe melensaggini il senso di amicizia e affiatamento che li ha accompagnati per tutti gli anni post liceo: Ambra Angiolini in primis - ne ha fatta di strada da velina coglionicina con auricolare di Non é la Rai - Raoul per rifarsi gli occhi, Paolo&Luca nel pieno del loro stile, Alessandro Tiberi, giá apprezzato in Generazione 1000 euro, in un ruolo dolcissimo anche se di secondo piano, Barabara Bobulova che non credo di aver mai visto e mi é piaciuta molto nel ruolo di madre imbranata, e financo la Caprioli, che reggo pochissimo, ma che per una volta non ha una parte da donna facile, diciamo, e dicendo un paio di battute in croce, sembra quasi saper recitare. Menzione d’onore alla bambina che interpreta l’intraprendente figlia della Bobulova; le sue perle di saggezza elementare sui ruoli uomo-donna sono da manuale.

P.S. Sono andata anche a vedere Il Discorso del Re, ovviamente...gran film con straordinari protagonisti...ma per la recensione mi associo in pieno con l’irreprensibile: http://whambamthanks.blogspot.com/2011/02/il-discorso-del-re.html

giovedì 24 febbraio 2011

Le Cose che Non ti ho Detto

Potrebbe sembrare l’ennesimo libro sullo stile di quello lá che sussurrava ai cavalli (lo ammetto. L’ho letto, ai tempi. Mi ha fatto skifo ma so che nessuno ci crederá mai), invece é un bel poliziesco di Bruno Morchio, strizzacervelli genovese, scovato su ibs e acquistato convinta, dopo aver letto un bel pó di recensioni entusiastiche.
In effetti mi unisco volentieri al coro dei lodanti; la trama é intrigante al punto giusto, la scrittura scorrevole ma non banale, i carrugi della cittá vecchia descritti, a parer mio che proprio non li ho presenti, in maniera decisamente evocativa.
La storia racconta – in poche parole – un’indagine dell’investigatore privato Bacci Pagano, ingaggiato da una sua storica ex per fare da balia a un luminare della psichiatria da anni dedito all’alcolismo anziché ai suoi pazienti e sposato a una ragazza misteriosa dal passato piuttosto oscuro.
L’unica nota che ho trovato un pó stonata, forse, é l’atteggiamento vagamente snob del Pagano, che talvolta mi ricorda lo stile di Piazzese (autore che comunque mi piace parecchio, vedi post su “Il Soffio della Valanga”)...a partire dal nome che affibia alla figlia, Aglaja...ma non c’era un nome italiano sensato da darle, no...! In alcuni punti suona infatti secondo me quasi stucchevole e troppo forzato il suo dar sfoggio di cultura anche quando i paragoni potrebbero essere molto piú semplici, tipo: “...questa cosa qui é dolce come l’Ouverture 40 in Fa maggiore di Mozart...”...ma va lá, va lá, che vorrei proprio sapere quanti lettori hanno presente ció di cui stai parlando (me inclusa!).
Tali eccessi di spocchia sono comunque molto rari e devo ammettere di essermi sciroppata l’intero romanzo in 5 ore esatte, profondamente soddisfatta e scattante ai blocchi di partenza per comprarne altri.

martedì 22 febbraio 2011

One Year in Two Minutes!


No, ma sentite e ammirate sto video MERAVIGLIOSO!!!!!!!!!!!!!

lunedì 21 febbraio 2011

A che Punto é la Donna Informata sui Fatti

Nella notte dei tempi (ero alle medie, sigh) mi ero gioiosamente ingurgitata tutti i romanzi di Fruttero&Lucentini che mi aveva prestato mia zia, fanatica lettrice della strepitosa coppia. In un momento di impanicato vuoto librario (avete presente quando si fa via Garibaldi, piazza Castello, via Roma e non si trova UN libro che ispiri anche solo lontanamente e a casa il comodino giace impolverato e coperto di soli sciroppi per la tosse? Ecco, questo é il vero panico...), decido di comprarli in massa e rileggerli, tanto non ricordo cos’ho mangiato ieri a cena, figuriamoci libri letti piú di 20 anni fa. E inizio da “A che Punto é la Nottte”.
Beh, chapeau, innanzitutto. Al fiume di cultura storico-religiosa che trasuda da queste pagine imbevute di torinesissimo grigiore squallido di periferia metropolitana e buio lugubre di vicoli contorti del centro storico. Quando si vede che un Autore non é un pennivendolo capitato per caso in libreria.
L’intricatissimo poliziesco ruota attorno all’omicidio di un prete spretato che si attorniava di strambi adepti seguaci della gnosi e del sacro pneuma...termini astrusi e mistici che poco per volta gli autori riescono a sviscerare spiegandoli al lettore attraverso gli incontri che il commissario Santamaria fa nel corso dell’indagine che, a un certo punto, si intreccia con quella di un poliziotto infiltrato negli ambienti mafiosi per poi riunirsi alla fine in un’unica, avvincente, conclusione...e sciapó doppio a chiunque sia riuscito a intuire in anticipo chi fosse l’assassino.
Santamaria (che riesce sempre a esercitare il suo fascino latino sulla protagonista di turno!) compare anche in “La Donna della Domenica”, in cui si narra l’omicidio di un architetto un pó squallido, un pó voyeur, un pó ladro di progetti altrui, a cui l’assassino – e anche qui...capire chi sia é davvero un’impresa – sfonda il cranio con un’arma particolarmente goliardica e decisamente adeguata al personaggio.
Donne Informate sui Fatti” (che é peró del solo Carlo Fruttero) é scritto con le voci alternate delle protagoniste femminili e donna é anche l’assassinata, un’ex-prostituta sposatasi poi a un riccastro della Torino-bene; originalissimo questo susseguirsi di capitoli narrati in prima persona dove uno stesso fatto viene ripreso sotto le diverse luci dei diversi occhi che lo osservano.
Tutte e tre le vicende di questi romanzi sono permeate da un umorismo intenso, molto sottile e assolutamente mai volgare, anche quando l’argomento tocca temi piú piccanti. I personaggi sono sempre grandiosamente piemontesi con tutto il loro indignato snobismo lasmesté verso i terroni (ma che tenerezza, gli anni ’70...adesso l’odio di torinesi da generazioni e tarun trapiantati si coalizza in ben altre direzioni...). Alcuni che personalmente ho amato alla follia ridendo alle lacrime: il boss Fiat che si presenta sul luogo d’indagine circondato dalla classica torma di leccaculo, l’appuntato Luigina Pietrobono e il suo spassosissimo modo di prendere appunti pressoché in tempo reale abbreviando le parole (“A che punto é la Notte”) e for ever l’americanista Bonetto (“This is the Balloon” resterá un mito!).

mercoledì 16 febbraio 2011

I’ll be Your Mirror – Nan Goldin

http://www.youtube.com/watch?v=BUIAsWsqiyk

Clo mi ha scritto una bellissima frase a proposito di questo documentario che ieri ci siamo sciroppate all’insegna dell’allegria galoppante e sfrenata:
“Non ho ancora capito se la NY degli anni ‘70 ha prodotto solo artisti o se qualsiasi depravato che ci abbia vissuto sia considerato artista solo per essere stato al posto giusto nel momento giusto a fare le cose sbagliate”.
Direi che ha riassunto in 2 righe il pensiero dell’intera sala. Party alcolici, abuso di droga, sesso libero&selvaggio e orge varie (uomini, donne, trans, gaylesbo, drag queens, cani, porci) erano all’ordine del giorno nella vita da ventenne di questa fotografa che inizia a scattare immagini di persone come tracce, per non perdere mai il ricordo di coloro a cui vuol bene. Sconvolta dal suicidio della sorella maggiore quando era ancora una bambina, Nan scappa a NY appena quattordicenne e inizia la sua ribellione a suon di eroina, circondata da un gruppo di amiconi drugá ma con i quali tuttora mantiene ottimi rapporti dopo un tot di passaggi in clinica per disintossicarsi. Con i sopravvissuti, ovviamente. Perché con l’arrivo degli anni ’80 arriva anche l’AIDS e pretende il pagamento per l’abuso di droga, il sesso libero&selvaggio e le orge varie (uomini, donne, trans, gaylesbo, drag queens, cani, porci).
Questo é stato l’aspetto che mi ha piú colpita e che meglio ha reso, secondo me, il senso di perdita che deve aver sperimentato l’autrice (il documentario é autobiografico e narrato in prima persona) che si chiede con che criterio alcuni si siano ammalati e altri, come lei, no, nonostante tutti fossero ugualmente coinvolti...il sapore della libertá assoluta che all’epoca si credeva di avere, il pensare di poter esagerare in vizi e perversioni senza limiti di sorta e senza un prezzo da pagare...e la sua brusca interruzione all’arrivo di questo fantasma dai contorni indefiniti, che ha iniziato a colpire qualcuno come una semplice infezione polmonare e poi uno dopo l’altro in tantissimi hanno cominciato a incavarsi e a morire con una flebo nel braccio e l’amico di fianco al letto a reggergli la mano scheletrica per l’ultima volta. “Ci credevamo immortali”, ha detto un intevistato, HIV positivo, che prende 4 pastiglie al giorno per tenere a bada le infezioni mentre ammette la paura che lo assale quando si rende conto che sta per morire anche lui.
Temevo che il documentario fosse per “pochi radical chic” (citazione molto attuale) e/o intellettualoidi da strapazzo, invece l’ho trovato commovente e ben articolato fra fermi immagine, interviste, voce fuori campo con racconti di vita vissuta. Che poi, esattamente come Clo, mi venga il dubbio che l’Arte sia spesso da ricercarsi da tutt’altra parte...é un’altra storia ancora.

venerdì 11 febbraio 2011

World Press Photo 2010

Ecco, senza falsi moralismi, domenica 13 alla marcia contro lo zoccolaio berlusconiano, le veline, le puttanine, le tette&i culi imperanti, farei un enorme striscione con questa, giusto per ricordare a tutta sta mandria di manze che vendono i loro quarti di carne andata a male per una foto su Novella 2000, che di DONNE che invece vengono affettate per davvero, ahimé, al mondo ce ne sono.

martedì 8 febbraio 2011

La Duja

Finalmente:
a) Metá é uscito dall’uff a un’ora accettabile anche per noi umani e
b) sono indi riuscita a testare la vineria La Duja a Cirié (via Cavour 13, 011-92.222.90), visto che da un paio d’anni smarronavo a riguardo colui di cui al punto a)

Niente male davvero...é valsa la pena aspettare e smarronare.
Cucina da piola piemunt liber e arredamento adeguato (c’é anche una sala che ha il caminetto!), la Duja propone un bel menú alla carta vario e anche abbastanza originale, che comprende, oltre ai grandi classici salumi-formaggi-vitello tonnato-ravioli del plin-bagna caoda, filetto mele e cipolle (l’ha preso Metá e gli é piaciuto, l'ha solo trovato leggermente inspido), filetto alla Voronoff (l’ho preso io e mi é piaciuto perché io mica sono cosí pistina), tagliata con pere al barbera, gnocchi con fonduta, grigliata mista di carne rossa e pollo (l'hanno presa quelli del tavolo a fianco e sembrava molto bella e buona), cartocci di toma al forno (li ha presi Metá e gli sono piaciuti), insalata di verza con peperoni alla griglia e bagna caoda (l’ho presa io e mi é piaciuta).
Noi abbiamo speso 65 carte in due per un antipasto, un secondo, un dolce (tortino al cacao con cuore caldo, buonissimo!) e un bicchiere di vino a testa, ma per le buone forchette ci sarebbe il menú degustazione a 28 euro che comprende due antipasti, un assaggio di due primi e un secondo (e forse anche il dolce, non ricordo), oppure a 32 con una degustazione di 2 vini...onestissimo! Unica pecca, forse, il classico “vorrei un bicchiere di Traminer”, “purtroppo questa sera non l’abbiamo”, “vorrei un bicchiere di Ruché”, “purtroppo questa sera non l’abbiamo”...ma dai, sei una VINERIA...ti avessi chiesto un Sassicaia millesimato del ’68...comunque pazienza, le alternative, il Greco di Tufo di Metá (Gesú, ha preso un bianco abbinato al filetto, con che razza di peone mi accompagno...) e il Nebbiolo d’Alba che ho preso io (notoriamente donna di gran classe), erano validissime.
Carina l'idea della moka singola portata direttamente in tavola al momento del caffé!

lunedì 7 febbraio 2011

Odore di Chiuso

Ecco, quando un Autore si rende conto di aver esaurito una vena e decide di cambiare genere rinnovandosi e ringalluzzendosi anziché sfinire il lettore con personaggi e trame che ormai non hanno davvero piú nulla da dire (non faccio nomi, la Vargas, una per tutti), va apprezzato, lodato e comprato.
Il terzo libro del Malvaldi sui dannati vecchietti del Bar Lume aveva, francamente, rotto i marroni (vedi post apposito). Invece questo Odore di Chiuso, pur restando sul genere giallo, viene ambientato nella Toscana dell’800 e il protagonista é il buongustaio Pellegrino Artusi, noto creatore di ricettari di fama mondiale (sembra sia il terzo autore italiano piú letto al mondo!)
E il libro risulta spiritoso, movimentato, la trama ingrana subito, i personaggi ben caratterizzati e davvero umoristici in alcuni loro comportamenti (i fratelli Lapo e Gaddo, nobilmente imbecilli ognuno a modo loro, la baronessa nonna, disabile ma svicia, il Delegato Artistico perseguitato dalla fama del suocero solo per citarne alcuni).
Inoltre il Malvaldi dimostra di avere una buona dose di cultura dell’epoca (che non guasta), che riesce a integrare abilmente nella storia senza per questo risultare spocchioso o saccente, anzi...ben venga conoscere aspetti a me ignoti della societá ottocentesca e dell’Artusi stesso (ignoravo ad esempio che la sua fama avesse cosí ampia risonanza), esposti sotto forma di romanzo.
E bravo Marcolino...bell’idea e ottima realizzazione. Speriamo non ricominci con i vecchiacci!

Rosoni

Codesta é una ricetta ganzerrima suggeritami dagli amici bolognesi e che io ho adattato alla torinese, anzi alla “arrivo a casa alle 8 e per non fare il caffellatte, affetto pasta e la riempio di prosciutto&formaggio” (il tempo di preparazione é praticamente lo stesso!).

Ingredienti:
- fogli di pasta tipo quelli per fare le lasagne (2 a testa)
- prosciutto cotto (2 fette a testa)
- formaggio a piacere (io ho usato toma e gorgonzola!)
- x la besciamella: burro, latte, farina, sale q.b.

Preparazione:
Far bollire l’acqua per dare una scottatta ai fogli di pasta e nel frattempo accendere il forno a 220˚ e tagliuzzare il formaggio a striscioline.
Sbollentare pochi minuti un foglio di pasta alla volta, scolarlo, stenderlo e rimpirlo con le fette di prosciutto, il formaggio e arrotolare il tutto tipo cannelloni. Tagliare quindi il rotolo ottenuto a fette larghe 2-3 cm e posizionare i vari rotolini in piedi in una teglia (una porzione corrisponde all’incirca 2 fogli di pasta a testa).
Una volta completata la teglia, cospargere il tutto con la besciamella (una noce di burro fatta sciogliere con un cucchiaio di farina e latte fino a ottenere un composto cremoso ma ancora abbastanza liquido) e con abbondante parmigiano.
Infornare 10-15 minuti fino a quando sui rotoli di pasta compare una bella crosticina dorata.

mercoledì 2 febbraio 2011

Arto Paasilinna

Due romanzi dell'Arto mi sono stati consigliati dalla stessa persona che mi aveva suggerito “L’assassino qualcosa lascia” della Mogliasso, divertentissimo (altrettanto valido, a proposito, "L'amore si nutre di amore", il suo secondo romanzo, con scoppi sporadici di risa alle lacrime assicurati. La commissaria e l'assurda sorella "Torino Bene" sono semplicemente fantastiche!).
Invece “Piccoli suicidi fra amici” e “Prigionieri del Paradiso” non mi hanno convinta per niente. Non sono assolutamente noiosi né scritti male, ma nonostante questo ho sempre l’impressione che la trama stenti a ingranare e si perda in dettagli e descrizioni che fanno pagine ma non azione. Mi aspetto un colpo di scena dietro l’angolo – perché entrambe le storie hanno ottimi presupposti perché effettivamente un colpo di scena ci sia – ma invece si gira pagina e…non succede nulla di rilevante se non un’altra giornata di ordinaria “follia”.
Perché di “follia”, alla fin fine, si parla in entrambi i romanzi. E di fuga, volontaria o meno (la programmazione di un suicidio collettivo e perfettamente organizzato e un incidente aereo con relativo naufragio su isola deserta), dalla società e dalle sue regole. Mah, sarà lo stile finnico e il ritmo cadenzato delle brevissime giornate nordiche che si riflette in una scrittura abbastanza piatta e monocorde. In effetti anche i polizieschi di Sjowall e Wahloo non erano propriamente Ken Follet…e anche in questi romanzi ho di nuovo, per altro, il problema di riuscire a memorizzare ‘sti nomi impronunciabili con mille dieresi.
Altra pecca - ma questa certo non imputabile all'autore - il dannatissimo formato dell'Iperborea, davvero scomodissimo da leggere. Basta Arto.

venerdì 28 gennaio 2011

La filiale - Sergej Dovlatov

Ecco un bell'esempio di romanzo che inizia bene, facendo spesso anche sorridere, ma che poi vorresti usare al posto della carta igienica per il nervoso.
Da quando entra in scena la stronza - non la si può definire altrimenti - Tasja, il primo e indimenticato amore del protagonista, le pagine diventano un susseguirsi di irritanti motivi per ucciderla, altro che pendere ancora bavoso dalle sue labbra dopo vent'anni che costei ti ha mollato da perfetto perdente. La tipica donna capace solo di capricci egoistici che, per qualche misterioso motivo, la rendono ancora più desiderabile anzichè far venir voglia di mandarla a stendere una volta per tutte.
Costei si ripresenta al'improvviso, sfacciatamente incinta di un altro ma innamorata persa di un terzo e prima cosa chiede dei soldi. Ora io dico: ma non bisognerebbe sbatterle la porta in faccia? No, il protagonista comincia a flash-backare su quanto fosse stato (in)felice con sta stronza in gioventù, come per colpa sua avesse dovuto mollare l'università per l'esercito, come lei gli avesse reso la vita impossibile...e l'aiuta. Mah.
Peccato. La prima parte del libro delineava con un'ironia non comune le litigiose faziosità degli ambienti letterari nei convegni filo-sovietici che fioccavano negli Stati Uniti dei primi anni '80 e riflettono la profonda cultura sull'argomento dell'autore, giornalista sregolato che veniva periodicamente licenziato dalle redazioni in cui lavorava (credo sia un pò un alter-ego del suo protagonista)...la seconda parte è invece a parer mio, eccessivamente irritante per melensaggini e comportamenti umanamente idioti.
Finisce polverosamente in seconda fila su uno scaffale. Tzè.

giovedì 27 gennaio 2011

27 Gennaio


Se questo è un uomo...

domenica 23 gennaio 2011

Skyline

Non saprei davvero spiegare il motivo principale per cui si esce dal cinema insoddisfatti e anche un pò inkazzosi. Sarà il finale idiota? Saranno gli attori INUTILI (il più famoso di loro ha "recitato" in Scrubs, l'insulso protagonista è diventato famoso per una sua scena di nudo in erezione...no comment)? Sarà lo skifo-trash dei cervelli umani ciucciati? Sarà il fatidico domandone: ma se per vivere gli alieni ciucciano CERVELLI...perché hanno scelto proprio la Terra? Comunque: non resistendo agli effettazzi sbirciati nel trailer, trascino Metà a vedere codesto filmaccio sperando nel piccolo capolavoro di nicchia alla Moon (vuoi mai...).
Diciamo che ne ho apprezzato essenzialmente tre cose: gli alieni non hanno bachi di sorta, per la prima volta nella storia della cinematografia americazza moderna ci fanno davvero il culo a stelle e strisce e non ci sono dannatissimi superuomini che sanno cosa fare andando a colpo sicuro e salvando tutto il genere umano usando un pacchetto di stuzzicadenti alla McGyver. Anzi. Gli insignificanti protagonisti sono imbranati e impanicati e non sanno (giustamente, direi) che pesci pigliare per tutto il film.
Pfui a Independence Day dove il Goldblum fa prendere "il raffreddore" (sigh!) al computer alieno, doppio pfui a Signs dove gli alieni sono allergici all'acqua (maronna, ma chi è il genio alla sceneggiatura? E tu vieni a conquistare un pianeta fatto al 70% dell'elemento che ti ammazza?) e a tutti quei film dove l'alieno è talmente pirla da non riuscire neanche a salire una scala (tipo i cattivi del primo Tomb Raider, per dire, a cui si sparava tranquillamente dall'alto di qualcosa), in Skyline i mostricciattoli volano, scalano, schiacciano, sparano, risucchiano e vanno dalle cantine ai superattici senza che nulla possa stroncarli (atomiche incluse) perchè riescono a ricostruirsi anche una volta esplosi. E infatti stavolta perdiamo. No way. Ci acchiappano tutti. Ci distruggono. Terra decimata. E bon. Oh là, era ora. Ecco, a questo punto io mi sarei fermata. E invece no, i fratelli Qualcosa alla regia decidono di fare la solita americazzata e tirano fuori un finale possibilista abbastanza ridicolo e anche un pò skifoso. Mah, vabbè, non è stato certo questo a rovinare un film che già di per sè non era un capolavoro. Unica scena ganza, il Ferrarino sgnaccato dal piedone alieno che fa fuori due imbecilli che tentano di sgommare via.

giovedì 20 gennaio 2011

Memorie di una Geisha

Il libro giusto da leggere in Jap per passare il resto del viaggio a odiare il genere maschile dagli occhi a mandorla saettando in giro sguardi d’astio puro. E pensare che anche nel Jap di oggi si organizzano corsi da geisha e che – mai stupirsi di nulla – sono pure spontaneamente frequentati, senza che siano le famiglie a venderti al pappone di turno. Mah. Per la gioia del movimento femminista, é comunque arrivata giusto ieri la notizia che in Jap le donne hanno iniziato a guadagnare piú degli uomini (http://www.corriere.it/editoriali/11_gennaio_19/geisha-a-chi-le-donne-in-giappone-ora-guadagnano-piu-degli-uomini-federico-fubini_37c25038-23b4-11e0-a3c4-00144f02aabc.shtml); ci confermava inoltre un ragazzo italiano conosciuto in aereo che da 8 anni vive in Jap, che le donne solo apparentemente, nella societá odierna, sono ancora succubi del capo famiglia ma anzi, tengono proprio loro – e ben stretti – i cordoni della borsa. Sto ragazzo giurava che sono sempre di piú, infatti, i suddetti capi famiglia che implorano le ditte di versare la quattordicesima su un conto sconosciuto alle mogli in modo tale da non dover sborsare mensilmente la tangente alla signora. La rivincita del burka. O delle geishe.
La protagonista del romanzo, Sayuri, bambina bellissima e dotata di rari e inquietanti occhi grigi, viene venduta dal padre, vedovo e povero, insieme alla sorella maggiore che peró, essendo meno interessante, finisce in uno squallido bordello di Kyoto anziché essere candidata a diventare una potenziale geisha. Vediamo un pó le differenze fra “mignotta” e “geisha” a quanto mi é dato di capire leggendo il romanzo. “Geisha” significa “artista”, quindi la creatura deve innanzitutto eccellere, a suon di ritmi massacranti e in condizioni a dir poco disagevoli, nelle sublimi arti che faranno di lei la portavoce della raffinatezza e dell’eleganza estrema: musica, ballo, canto, ventaglini, ikebana, cerimonia de té, eccetera. Poi deve subirsi pettinature da urlo (in tutti i sensi perché i capelli vengono tirati in modo improponibile), vestizioni con strati su strati di kimono pesantissimi in bilico sui tipici sandaletti di legno, trucchi e vessazioni varie (incluso il fatto di dover dormire su un ciocco di legno che sostiene solo il collo in modo da non rovinare l’acconciatura), per poi partecipare a un tot di feste a sera in cui intrattiene i gentili ospiti con aneddoti brillanti o deliziose canzoncine, servendo il té o il saké sempre con infinita grazia e mani di fata. Quando poi sará finalmente ora di darla via per la prima volta – a un ricco, nella fattispecie – la geisha tua protettrice (detta “sorella maggiore”) e la tua padrona (che ti fa studiare anticipando soldi che poi dovrai restituirle negli anni a venire con il tuo “lavoro” da geisha) cominceranno una simpatica asta sulla tua pellaccia per chi offre di piú, e pazienza se, solita sfiga, il ricco fortunato é un bavoso vecchiardo. Da codesto mizuage in poi, o ti trovi un protettore che ti piglia come amante fissa e ti fa un sacco di regali permettendoti financo di “metterti in proprio”, oppure passerai la vita da una festa a un altra, sempre strimpellando chitarrine e versando saké ai ricchi ubriaconi. La mignotta invece fa invece solo una cosa ma per lo meno non si cuzza tutto la parte di apprendistato della geisha. Diciamo che entrambe le “professioni” vanno un pó a parare nello stesso posto.
Il romanzo comunque é un bellissimo affresco storico (l'autore ha raccolto testimonianze da una vera geisha doc!) e riesce a coinvolgere sia per la ricchezza e il dettaglio delle descrizioni, sia per gli straordinari personaggi che fa muovere sui sandaletti per l’acciottolato di Gion. Ora ho voglia di rivedere il film, che ricordo altrettanto bello.

martedì 18 gennaio 2011

Hereafter

Skatta in sala un brivido d’italico orgoglio quando Matt Damon inizia a frequentare un corso di cucina nostrana col cuoco Carlo e skatta palpabile la passione “Piemunt Liber” quando suddetto Carlo fa bere a tutti i presenti un bicchiere di Barbaresco docg, lodando le cuneesi vigne da oltreoceano. Sdegno e snobistica alterigia quando invece Bryce Dallas Howard – di nuovo cieca – non distingue un cucchiaio di nocciole tostate dalla passata di pomodoro, tzé, americani hamburgerari, ma cosa vuoi che ne sappiano di buona cucina.
Il film comunque parla di Aldilá, non di cibo, scusate, stavo divagando.
Dopo aver passato un terzo del film con la pelle d’oca (perché non so cosa farci ma a me i fantasmi fanno ancora paura), un terzo a piangere (perché il gemello rimasto ha un faccino Oliver Twist da strappare il cuore) e l’ultimo terzo con le palle girate perché l’idea di fare tutta la parte ambientata a Parigi in francese con i sottotitoli trovo sia davvero poco funzionale ai fini della scorrevolezza del film, tirando le somme direi che Clint ha creato – come sempre – un prodotto ben recitato, toccante, commovente e per nulla scontato (eccezion fatta, direi, per il personaggio del fratello di Matt che vuole sfruttare a fini monetari il "dono"), ma forse un pó lento in alcuni tratti e con alcune soluzioni (vedi appunto sti noiosissimi ed eterni sottotitoli) che ammazzano l’attenzione e fanno rimpiangere Gran Torino.
Ben diretta la scena iniziale dello tsunami, che rende perfettamente l’idea di panico e di inevitabilitá, la scena del berretto volante a Charing Cross (ri-pelle d’oca), i flash ripetuti degli spiriti/ombre e la telefonata dell’editore americano (“Il suo libro ci piace, lo vorremmo pubblicare”, ma questa é una cosa mia, nel film non é un cosí grande capolavoro!). Odio viscerale per il solito Macho Shithead che antepone la gnocca rampante alla carampana calante.
Il messaggio finale, decisamente a libera interpretazione, secondo me é comunque ottimistico: finalmente un pó di futuro prossimo QUI e non il solito presente spiritico AL DI LÁ del reale e tangibile.

martedì 11 gennaio 2011

Japs!

Primo: in Jap NON parlano inglese o al max spiccicano qualche parola spare buttata a caso e pronunciata da cani (bisi/gud/monchi/cis/lachi/littel/solly). Soluzione: prepararsi a gesticolare (vedasi Dany che ha mimato “Buddha Gigante” a Kamakura permettendoci di ottenere facili indicazioni per raggiungerlo).
Secondo: il mare a Tokyo, d’inverno, NON mitiga il clima ma proprio per niente. Soluzione: portarsi dietro mezzo armadio di maglioni strapesanti.
Terzo: le balle che le carte di credito, nella megalopoli simbolo della tecnologia piú lussurreggiante e sfrenata sogno di ogni nerd, vengono accettate ovunque. Soluzione: portarsi tanti, ma tanti contanti.
Quarto: riuscire a prendere la metro giusta nelle stazioni in cui qualsiasi fott&*^#* indicazione é in kanji, é un fott&*^#* terno al lotto. Soluzione: pregare il Buddha Gigante.

Detto questo, il mio secondo viaggio in Jap é stato divertente al massimo come il precedente, perché, paesaggi incredibili a parte, gli autoctoni sono TROPPO fuori dal nostro mondo per non essere continuamente motivo di sfolgorante sbalordimento.
Parte il treno alla stazione. Il bigliettaio si inchina profondamente ringraziando ad alta voce e non rialza la testa finché tutto il convoglio non é defluito.
Sul treno passa il tipo/la tipa che spinge il carrellino di cibi e bavande. Al termine di ogni vagone, frena il carrellino e si inchina profondamente verso i passeggeri (ringraziando, ovvio, anche se non ha venduto nulla) prima di proseguire.
La disoccupazione in Jap non esiste, evidentemente. All’arrivo in stazione dello Shinkansen, l’apposito addetto ruota TUTTI i sedili del treno nella direzione di marcia successiva. Cioé c’é un tizio pagato appositamente per girare i sedili del treno. Se nasco un’altra volta voglio assolutamente fare questo mestiere.
Per mimare “no”, fanno il gesto che usiamo noi per dire “ma sei scemo?”, sventagliando una mano davanti alla faccia (Metá – che notoriamente é un suscettibile permaloso – si é mortalmente offeso la prima volta che un controllore gli ha risposto cosí alla domanda “Do you speak english?”), oppure ancora meglio, fanno una “X” incrociando le braccia (in atteggiamento “Goku Super Saiyan” o “Fulmine di Pegasus”).
L’armadio dei Jap é sapientemente fornito di vestiti assurdi; le Jap (temperature esterne variabili dai -11˚ ai + 3˚ C) indossano striminze minigonne – la maggioranza – spesso senza collant ma con scaldamuscoli modello “donna delle nevi”, oppure pantaloni – la minoranza – ma con paperine senza calze (abbigliamento mio: calzamaglia “Capo Nord”, pantaloni di velluto, doppia calza da ghiacciaio, scarponcini da trekking, canotta, maglia maniche lunghe, coprispalle in lana, manicotti di lana, altro maglione di lana, piumino, scialle, sciarpa, berretto, triplo guanto e a Nikko GELAVO); i Jap tristi completi “impiegato”, blu o neri, con cravatte che gridano vendetta al cospetto del Buddha Gigante.
Mitici i pendagli da cellulare che spesso pesano piú del cellulare. Mitiche la gambe stortissime e i denti miscelati a caso. Mitici i nerd galvanizzati nelle mangherie pornazze ad Akiba. Mitico il silenzio che regna su tutto nonostante l’oggettivo casino. Mitici i tempietti che sorgono come funghi fra un grattacielo e l’altro. Mitiche le donne in kimono tradizionale e cellulare ipertechno alla mano. Mitiche la sale Pachinko dal casino surreale. Mitico il té verde al sapore di prato e/o di tonno in scatola.
E spezziamo una lancia, i Jap sono fuori dal mondo anche per quanto riguarda l’inestimabile gentilezza; all’arrivo, un tizio qualunque che passava di lí ci ha visti spersi con la mappa dell’hotel in mano e spontaneamente si é offerto di aiutarci, accompagnandoci personalmente fin sulla porta, senza per questo rubarci né i bagagli né i portafogli.

Il resoconto completo su: http://turistipercaso.it/tokyo/61119/dieci-giorni-fra-tokyo-e-dintorni.html
Foto su: http://good-times.webshots.com/album/556425231pUoYpb