Esattamente come il primo che ho letto, “Il serpente di pietra”, questo romanzo di Jason Goodwin ambientato a Istambul nel 1830, comincia bene e poi si perde nei meandri tortuosi e olezzanti delle vie stambuliote. Si ha l’impressione che un sacco di pagine avrebbero potuto essere risparmiate nel raccontare una vicenda che tutto sommato non è poi cosí cervellotica: un pazzo esaltato vuole ripristinare l’estinto ordine dei giannizzeri rovesciando il potere del sultano, colpevole di essere troppo aperto ai rapporti con l’Occidente. Punto. Il tutto si intrica terribilmente con le tracce che questi giannizzeri scampati alla strage di alcuni anni prima spargono per la città, uccidendo alcuni, nascondendosi ad altri, stringendo legami che non si capisce bene perchè si stringano, radunandosi in luoghi “sacri” che l’eunuco protagonista (non l’ho trovato particolarmente carismatico nel primo libro e l’impressione è confermata) cerca come un pazzo correndo qua e lá fra gnokke cosmiche – destino infame – danzatrici del ventre, valletti, cortigiane, altri eunuchi tarpati in maniere allucinanti, ambasciatori che portano pene, altrochè, la mamma del sultano (troppo antipatica!), il sultano stesso (antipatico anche lui e pure ciccione laido).
Mi ripeto: esattamente come il primo romanzo, questo si può leggere se si è innamorati dell’aria del Bosforo; essendo stata da poco a Istambul e avendone amato i colori e i profumi nonostante l’inverno, ho apprezzato il riconoscermi in alcuni dei luoghi descritti cosí com’erano nel 1800...ma nulla più. Direi basta libri di Goodwin.
Falquo
11 anni fa
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