Primo caso: Mangia Prega Ama, uno dei più grossi concentrati di banalità che abbia mai visto. Lentezza esasperante e deprimenti luoghi comuni mascherati da Grandi Verità a parte (va bene, la frase sul non aver paura di distruggere per poter ricostruire non è male, ma non è certo illuminante), come italiana ho trovato davvero imbarazzante il ritratto del romano doc che si fa nel film: fancazzista mano morta, dedito al dolcefarniente come filosofia di vita, vive in case sgarrupate e cadenti solitamente succube di mammina che, per carità è un'ottima cuoca, ma i cazzi sua non se li fa mai. Come cita guru Alessio, "meglio quando ci fanno passare tutti per mafiosi". Argentero - che per carità, sarà anche bono ma non basta - che ringrazia per la "paura" davanti al tacchino del Thanksgiving, è da brivido, nel senso che ti vengono i brividi alle mani dalla voglia di stracciare il biglietto del cinema e farne coriandoli in sala. Patetico anche Bardem che piange quando il figlio ventenne parte, per non parlare di Julia Roberts - davvero fastidiosa - che strafogandosi di pizza esalta la pummarola a discapito del girovita e ordina il menù in un romanaccio irritante. E vogliamo parlare del guru balinese sdentato che la mette a fare fotocopie? O di James Franco che le dice "Lascia che io senta la tua mancanza?" (brrrrrr) Era fin meglio quando dava la caccia a Spiderman per ciulargli la ragazza.
Comunque: non paga di sto mattonazzo ignobile che ha avuto come unico merito di farmi uscire dal cinema con voglia smodata di carboidrato al sugo, la sera dopo mi fiondo da perfetta ebete a vedere Fratelli in Erba, con Edward Norton che evidentemente aveva bisogno di soldi. La tenue fiammella di comicità iniziale, che si intravede quando una studentessa del gemello buono - professore di filosofia classica - gli decanta in perifrastica passiva reiterata il suo amore, si spegne dopo pochi minuti e il film si trascina inutilmente e stancamente, per fortuna solo per 1 ora e 40. La classica pellicola che non vuole dire nulla e che non lascia nulla se non la noia cosmica infarcita da momenti inutilmente trash e grotteschi del tutto inadeguati ed estranei alla vicenda. Mah.
Meno male che domenica scorsa avevo potuto rifarmi gli occhi con Inception che, senza star troppo lì a pensare se tutti i calci sono stati dati al momento giusto e al giusto livello di sogno, o se dal limbo del Watanabe si può scappare o meno, o se la trottola alla fine si ferma (io sono per il no, Nolan di solito è troppo cupo per un rassicurante happy end), è comunque un film elettrizzante con un bel mucchione di effetti speciali che contribuiscono a tenere l'azione sempre sul filo del rasoio. Leo è in perfetto Shutter Island-style (di nuovo tormentato per la morte della moglie che vaga, maligna presenza, nei meandri dei suoi sogni), ma nonostante gli altri nomi famosi del cast, ho trovato le loro figure quasi secondarie rispetto alla complessa vastità di questa vicenda in cui sogni e ricordi sono i veri protagonisti. Carina l'idea che il labirinto sia creato da una ragazza di nome Arianna e che nei sogni sia - giustamente - consentito esagerare, scegliendo di sparare con un bazooka piuttosto che con una ridicola pistolina da quattro soldi.
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