Dal blog di Gad Lerner (http://www.gadlerner.it/2009/10/06/addio-a-marek-edelman.html):
E’ il coraggio la virtù degli eroi? Si può amare la vita e metterla ugualmente a repentaglio?Marek Edelman non poteva permettersi il lusso di queste domande all’epoca in cui, poco più che ventenne, si impegnò fra gli artefici del Zob (Organizzazione ebraica di combattimento). A quel manipolo di giovani temerari male armati, del quale Edelman fu il vicecomandante, non si offriva un’alternativa fra il vivere e il morire, ma semmai la scelta sul come morire, quando il 19 aprile 1943 scatenarono la rivolta del ghetto di Varsavia. Stiamo parlando di uno degli episodi più tragici e gloriosi nella storia del Novecento. La rivolta che provocò l’incendio e la distruzione del ghetto, sopraggiunse dopo che già 300 mila dei suoi residenti coatti erano stati uccisi nelle camere a gas di Treblinka. Più che salvarsi, gli organizzatori della rivolta volevano ricordare a sé stessi e al mondo di essere persone e non topi. Uomini e donne ancora capaci di denunciare l’ingiustizia abbattutasi su di loro.
Mordechai Anielewicz, il comandante del Zob, dopo diciannove giorni di resistenza nel corso dei quali era avvenuto l’impensabile –ebrei che uccidevano tedeschi, anziché il contrario- si suicidò l’8 maggio 1943 nel bunker di via Mila 18 prima di essere catturato dai nazisti. Marek Edelman invece riuscì a fuggire attraverso le fogne, con pochi altri, nella parte ariana della città. [...] di ferrea in lui c’era soprattutto la volontà di restare fedele ai suoi morti, attraverso due precise regole di comportamento: non allontanarsi dai luoghi in cui fu perpetrato lo sterminio e dove, in seguito, subentrarono la rimozione e l’oblio. Per questo usava definirsi “il guardiano delle tombe del mio popolo”. Ma neanche ciò gli sarebbe bastato. A Marek Edelman, divenuto nel frattempo stimato cardiologo dell’ospedale di Lodz, premeva testimoniare attraverso l’esempio quotidiano che il coraggio dei vent’anni può durare una vita intera. Divenne oppositore del regime comunista polacco, tanto che i burocrati, fallito il tentativo di comperarlo, giunsero al disonore di infliggendogli gli arresti domiciliari. Fu fra i sostenitori, vent’anni fa, del movimento Solidarnosc che portò alla nascita del primo governo non comunista dell’est europeo. Mezzo secolo dopo la rivolta del “suo” ghetto di Varsavia, ormai anziano, nel 1993 Marek Edelman guidò un convoglio umanitario dentro alla città di Sarajevo assediata. [...].
Mordechai Anielewicz, il comandante del Zob, dopo diciannove giorni di resistenza nel corso dei quali era avvenuto l’impensabile –ebrei che uccidevano tedeschi, anziché il contrario- si suicidò l’8 maggio 1943 nel bunker di via Mila 18 prima di essere catturato dai nazisti. Marek Edelman invece riuscì a fuggire attraverso le fogne, con pochi altri, nella parte ariana della città. [...] di ferrea in lui c’era soprattutto la volontà di restare fedele ai suoi morti, attraverso due precise regole di comportamento: non allontanarsi dai luoghi in cui fu perpetrato lo sterminio e dove, in seguito, subentrarono la rimozione e l’oblio. Per questo usava definirsi “il guardiano delle tombe del mio popolo”. Ma neanche ciò gli sarebbe bastato. A Marek Edelman, divenuto nel frattempo stimato cardiologo dell’ospedale di Lodz, premeva testimoniare attraverso l’esempio quotidiano che il coraggio dei vent’anni può durare una vita intera. Divenne oppositore del regime comunista polacco, tanto che i burocrati, fallito il tentativo di comperarlo, giunsero al disonore di infliggendogli gli arresti domiciliari. Fu fra i sostenitori, vent’anni fa, del movimento Solidarnosc che portò alla nascita del primo governo non comunista dell’est europeo. Mezzo secolo dopo la rivolta del “suo” ghetto di Varsavia, ormai anziano, nel 1993 Marek Edelman guidò un convoglio umanitario dentro alla città di Sarajevo assediata. [...].
Se n’è andato serenamente nel pomeriggio di venerdì 2 ottobre scorso, all’età di 90 anni. Per rispettare i suoi desideri, anziché nel Pantheon dei benemeriti della democrazia polacca viene sepolto nel cimitero ebraico di Varsavia, in mezzo alla gente di cui ci ha trasmesso la memoria, accanto agli altri dirigenti del Bund, partito socialista ebraico, cui è rimasto fedele nell’idea che la vittoria sugli antisemiti debba ottenersi nel luogo natale, senza bisogno di emigrare in Israele.
"Ma perchè nessuno mi chiede se nel ghetto c'era l'amore? [...] E' l'amore che permetteva di sopravvivere".
RispondiEliminaIl libro è una dettagliatissima testimonianza della vita nel ghetto prima, durante e dopo l'insurrezione; forse un po' troppo minuzioso nella descrizione delle varie strade e dei palazzi (difficile comunque orientarsi, a meno di non essere esperti di Varsavia). Toccante l'elenco finale dei personaggi del libro, chi ce l'ha fatta e chi invece è caduto sotto il fuoco nazista.
Alcuni pezzi sono da pelle d'oca, dentro di te speri di leggere "si è salvato", oppure "è tutto falso"...e invece ti rendi conto che questa è una TESTIMONIANZA visiva, che tutto è successo realmente. "Un giorno in via Karmelicka ci fu una retata. Quando lo seppe corse a casa ma la mamma non c'era più. [...]La ragazza scese dal risciò, lui restò sul bordo del marciapiede. Gli disse: "Purtroppo dobbiamo separarci, la mamma non può partire da sola per un viaggio così." E seguì sua madre sul vagone."